WFUM 2023: The journey not the arrival matters 

La Walking Francigena Ultra Marathon (WFUM) è uno degli eventi più importanti dell’anno. I volontari del nostro Gruppo assumono una serie di ruoli durante i 2 giorni della maratona. Fanno certo che tutti i participanti riescano a completare il percorso in sicurezza, che nessuno venga lasciato dietro, e che nessuno si perda. Siamo con loro alla partenza, gli offriamo supporto e ristoro lungo il percorso, e gli diamo il benvenuto all’arrivo. Ma tutto questo è solamente la punta di un iceberg molto grande, la culminazione di mesi di progettazione e preparazione, compressa la pulizia dei sentieri, l’installazione della segnaletica, l’acquisto e lo smistamento dele vivande a ogni punto di ristoro.

Oggi Massimo apre una breve serie di articoli condividendo un approfondimento sui tanti lavori e problemi logistici che lui e Marco hanno dovuto affrontare:

The journey not the arrival matters 
T.S.Eliot 

I partecipanti sono partiti e il loro passo veloce li porta già attraverso le colline e i boschi della Val d’Orcia. È una bella giornata di sole, bella soprattutto per noi che siamo in movimento già dalla prima mattina per far sì che tutto giri, per garantire l’assistenza, il supporto, la sicurezza a tutti quelli, tantissimi, che oggi si misureranno con se stessi nello sforzo di compiere la loro impresa. Per i partecipanti sarà una giornata di caldo e di sudore.

All’ultimo momento è arrivata la notizia, il ponte sull’Orcia non sarà aperto, in alternativa è stato scavato un tracciato lungo le sponde del fiume, è ripidissimo, scosceso e porta a un guado di fortuna. Io e Marco siamo qui, a guardarlo dall’alto, a valutare come renderlo un tracciato sicuro, fa parte del compito che ci siamo presi noi della logistica: risolvere i problemi. 

Quelle sponde scoscese ce le facciamo almeno una decina di volte, su e giù a piantare picchetti, stendere corde di sicurezza, nastrare di bianco e rosso il percorso; pensiamo soprattutto alla notte, a chi nel buio si troverà a calarsi nel nulla e poi risalire sull’altra sponda. Mentre facciamo il lavoro penso fra me e me che nella mia visione di questa impresa, che con i suoi 120 chilometri sa di gesto “eroico”, la sfida di questo guado introdurrà una difficoltà in più, una specie di prova speciale, di quelle che quando le affronti imprechi ma quando le ricordi sulle labbra ti affiora un sorriso. 

Ce ne andiamo convinti di aver fatto un buon lavoro, visti i tempi ed i mezzi che avevamo a disposizione. Torneremo più tardi, quando farà buio, per piazzare sul guado un generatore e un faro che illumini a terra come le frontali non riuscirebbero a fare: l’idea di ripescare qualcuno zuppo d’acqua ci fa sorridere ma non ce lo auguriamo proprio, né per lui né per noi. 

La giornata scorre veloce, fra una chiamata e l’altra, fra un arco da montare e un allacciamento elettrico da fare. 

Ora è notte, per noi è un momento di quiete, vedo le persone entrare e uscire dal ristoro in un avvicendarsi di colori, di facce stanche ma anche di sorrisi. Qualcuno ha già scritto in faccia che non ce la farà, provo simpatia per quella lei o quel lui che forse è stato un po’ avventato nel valutare le proprie possibilità ma che comunque ha avuto il coraggio di mettersi alla prova. 

La coda dei partecipanti ci dicono è quasi arrivata al guado, con Marco decidiamo di andare: passato l’ultimo dobbiamo smontare tutto e andare a dormire qualche ora, c’è ancora molto da fare. 

Arriviamo lì e dall’alto della sponda guardo: davanti a me una fila di lumicini scende a zig zag l’altra costa, in basso il guado illuminato dal faro, sembrano lucciole nel bosco attratte da quella luce; il silenzio rende la cosa ancora più magica. 

Ne mancano pochi, decido di scendere al guado e risalire all’inizio del ponte, dall’altra parte, ad aspettare “la scopa”, Marco rimane qua. Nel gergo di questo tipo di attività la scopa è la macchina o la persona che chiude la fila e certifica che nessuno sia rimasto indietro; nel nostro caso la scopa ha un nome, si chiama Luca. Di là dal fiume è silenzio e buio, e lo confesso, sono andato di là proprio a cercare questo. Chi si diletta un po’ di astronomia sa quanto sia frustrante la mancanza di un cielo davvero buio. L’inquinamento luminoso delle città e delle strade ha ormai annacquato di luce il cielo e anche se non riesco a ricordarlo, so che molte delle stelle che vedevo da bambino oggi non le vedo più. Ma qui è diverso. Alzo gli occhi al cielo e l’emozione mi chiude la gola, sopra di me una distesa di stelle, tante, viene da dire quasi troppe! Ho difficoltà perfino a riconoscere le costellazioni che pure tante volte ho tracciato in cielo con il laser per indicarle agli amici nelle sere d’estate. E mi coglie l’emozione forte di sentire questa meraviglia ora, in questo attimo, interamente mia. Agli ultimi partecipanti che mi sfilano davanti vorrei dire: fermatevi un attimo, spengete le lampade e fate abituare gli occhi al buio, poi lascate che questo cielo attraversi gli occhi e vi raggiunga il cuore. 

È arrivato Luca, l’ultimo è passato, è ora di smontare. Torno giù e quando spengo l’elettrogeno e il faro tutta la valle torna in silenzio e alla luce delle stelle e della Via Lattea, con il mormorio dell’acqua, la magia è completa e non ci sono parole per esprimerla. Mi abbandono a questo senso di pace. 

Massimo Damiani
Pisa, 5 settembre 1997 – Sergio Staino 

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